1. Come si arriva alla diagnosi e al ricovero?
La diagnosi di nefrolitiasi può avvenire accidentalmente durante ecografie eseguite per altre motivazioni, ma è più spesso sospettata in seguito ai sintomi tipici: dolore al fianco, coliche renali, talvolta accompagnate da nausea e vomito, ematuria (presenza di sangue nelle urine) e febbre. In ogni caso, la conferma diagnostica avviene tramite una TAC multistrato dell’addome e della pelvi. Se ci sono controindicazioni per la TAC, la Risonanza Magnetica (RM) può rappresentare una valida alternativa diagnostica. Questi esami sono anche fondamentali per determinare il trattamento più adeguato.
2. L’ureteroscopia
L’intervento che viene effettuato è l’ureterolitolapassi, che consiste nell’inserire uno strumento sottile chiamato ureterorenoscopio per risalire lungo l’uretere attraverso l’uretra e la vescica. L’intervento può essere eseguito con anestesia spinale o generale, e il paziente viene posto in posizione ginecologica.
TECNICA:
- L’accesso avviene per via endoscopica attraverso la vescica fino alla giunzione dell’uretere.
- Si introduce un filo guida nell’uretere, sul quale si esplora l’uretere utilizzando una videocamera e il controllo fluoroscopico.
- Una volta raggiunto il calcolo, si fa avanzare il filo guida fino al bacinetto renale.
- Si valuta se trattare il calcolo sul posto o spingerlo nel bacinetto (tecnica del “push-up”).
- Si utilizza un litotritore balistico per frantumare il calcolo.
- A seconda del risultato della frantumazione e della presenza di edema o sanguinamento, si decide se lasciare un catetere ureterale (generalmente un doppio J).
- L’intervento si conclude con l’inserimento di un catetere vescicale, rimuovendo lo strumento e il filo guida.
3. Quanto dura l’intervento?
La durata dell’intervento varia dai 30 ai 90 minuti, a seconda della sede, numero e dimensioni dei calcoli.
4. Esistono alternative a questo intervento?
Il trattamento meno invasivo per la calcolosi è la ESWL (lithotripsia a onde d’urto extracorporee), ma questo metodo ha dei limiti, poiché la frantumazione dei calcoli dipende dalla loro compattezza. Se i frammenti rimangono compattati, non vengono espulsi. Generalmente, la ESWL è preferita per i calcoli asintomatici o senza ostruzione, soprattutto se localizzati nell’uretere lombare.
Per i calcoli che causano ostruzione o sono sintomatici, o che si trovano nell’uretere pelvico, l’ureterolitolapassi è il trattamento più indicato, sebbene la ESWL possa ancora essere presa in considerazione.
5. Quali sono i rischi e le possibili complicanze?
Il rischio principale dell’intervento endoscopico è che il calcolo non venga frantumato correttamente, il che potrebbe richiedere ulteriori procedure. Questo può accadere se il calcolo è inglobato in tessuto reattivo, se l’uretere è troppo stretto per permettere il passaggio dello strumento, se il calcolo si frantuma solo parzialmente, o in caso di sanguinamento durante l’intervento, che può ostacolare la visione.
La complicanza più comune nell’ureterolitolapassi percutaneo è la perforazione dell’uretere, che oggi è rara (<5% dei casi) e viene generalmente trattata conservativamente con l’inserimento di un catetere doppio J.
Come per ogni intervento chirurgico, possono verificarsi complicanze generali (sebbene rare), come infarto miocardico, ictus, insufficienza cardiaca, embolia polmonare, polmonite o tromboflebite.
6. Cosa succede dopo l’intervento?
Al ritorno in reparto, il paziente riceverà una fleboclisi per idratarsi e per somministrare la terapia necessaria, insieme al catetere vescicale. Il giorno successivo all’intervento, salvo controindicazioni, inizierà la mobilizzazione con alzate progressive dal letto, supportato dal personale infermieristico. Il paziente potrà riprendere la normale alimentazione.
Tra il primo e il secondo giorno, a seconda delle condizioni urinarie, verrà rimosso il catetere vescicale e, in alcuni casi, potrebbe essere eseguito un controllo radiografico. La degenza ospedaliera varia generalmente da 2 a 4 giorni.
7. Cosa accade dopo le dimissioni?
Alla dimissione, verrà valutata la capacità del paziente di urinare, l’assenza di sanguinamento, febbre o dolore. Se il paziente è stato dimesso con un catetere ureterale doppio J, sarà importante svuotare frequentemente la vescica e informarlo su possibili fastidi al fianco durante la minzione o la presenza di urine torbide o ematiche. È consigliato bere più acqua fuori dai pasti.
Il catetere doppio J dovrà essere rimosso tra il 15° e il 40° giorno post-operatorio tramite una cistoscopia, eseguita con strumenti flessibili nell’uomo.
Dopo la dimissione, si consiglia di riprendere una vita normale, evitando sforzi fisici per circa 7 giorni e seguendo una dieta equilibrata. L’attività sportiva potrà essere ripresa dopo la rimozione del catetere doppio J, se presente. In caso di febbre, emorragie improvvise, dolori o gonfiori anomali, il paziente dovrà contattare il reparto di urologia per un consulto. I controlli successivi verranno programmati al momento delle dimissioni.
8. Cosa succede se il paziente non si sottopone all’intervento?
Se il calcolo rimane nell’uretere, oltre al rischio di coliche, potrebbe causare danni progressivi alla funzione renale, soprattutto in caso di infezione sovrapposta. L’infezione si manifesta con dolore e febbre alta (>38°C), e se non trattata, può portare a gravi complicanze renali.